L’anello – Storia di Nora e Gualtiero

Forse noi due ci cercavamo molto più di quanto noi stessi pensassimo.

E così abbiamo finito per prendere la strada più lunga e più contorta.

Forse io non avrei dovuto fare quello che ho fatto. Ma non ho potuto farne a meno.

E volevo dirti che la sensazione di intimità e tenerezza che ho provato per te,

è stata un’emozione che non avevo mai sentito prima nella mia vita.

Haruki Murakami

L’anello

A Nora, che leggerà questa fiaba fra molti anni

Il giovane Gualtiero, come tanti prima e dopo di lui, non seppe cosa fosse l’amore finché non rischiò di perderlo.

Ma la storia che stiamo per narrarvi ha inizio più di vent’anni prima, quando il suo povero padre prese una decisione che cambiò per sempre le loro sorti.

Silvestro l’Orefice era conosciuto nel suo villaggio per l’umiltà e il grande talento nel forgiare gioielli di pregiata fattura. Nessuna delle sue creazioni era uguale a un’altra, e tutte rispecchiavano perfettamente l’anima di chi le avrebbe indossate. Il dono e le grandi capacità che possedeva erano giunti alle orecchie di nobili e aristocratici in ogni parte del continente, e gli facevano visita con richieste sfarzose e sacchi pieni d’oro. Silvestro aveva accumulato negli anni grandi ricchezze, ma quando gli si domandava di trasferirsi presso le corti per diventare l’orefice personale del Re, così rispondeva:

“In questo villaggio riposa in eterno la mia defunta moglie. Non lascerò mai la casa che ci ha visti felici insieme”.

Purtroppo, non avevano avuto figli, e tanto più oro accumulava, tanto più sentiva un vuoto dentro al cuore, poiché era solo.

Una sera d’inverno bussò alla porta della sua oreficeria una bellissima donna dai lunghi capelli color ambra. Con fare gentile gli mostrò il disegno di un anello con una gemma a forma di cuore. Nulla di più semplice per Silvestro, tranne che per una singolare richiesta: il cuore doveva essere realizzato con un materiale più prezioso dell’oro, del diamante e dell’argento. In cambio, la donna avrebbe esaudito il suo grande desiderio:

“So che non hai mai avuto figli. Non posso far tornare in vita tua moglie, ma posso renderti padre. Dovrai darmi solo ciò che ti ho chiesto. Avrai vent’anni di tempo per accontentarmi. Se al mio ritorno non avrò ciò che mi spetta, tuo figlio non potrà mai vivere felice con il suo grande amore”.

Silvestro, come rapito e ammaliato da quelle parole, annuì senza aprir bocca.

Improvvisamente, la pelle della donna cominciò a raggrinzirsi, la sua lucente chioma si spense in un profondo grigiore e la sua schiena si curvò.

L’uomo capì che si trattava di una vecchia e potente strega, ma era ormai troppo tardi: aveva appena venduto la sua anima e quella del suo futuro figlio.

Si sentì svenire e si accasciò a terra. Al suo risveglio, la vecchia era sparita. Al suo posto, il pianto di un neonato che proveniva dall’esterno. Sull’uscio di casa era stato lasciato un fagottino strillante, che Silvestro prese tra le braccia senza più preoccuparsi di nient’altro, se non di crescere il suo bambino.

Passarono gli anni, e Gualtiero, nato da chissà quale stregoneria, diventò un uomo buono e sensibile, tanto interessato all’attività di famiglia quanto incapace di seguire le orme del padre. Per quanto si sforzasse, non possedeva la stessa manualità, il gusto, l’eleganza. Maldestramente provava e riprovava, ma le sue creazioni restavano invendute. Silvestro lo spronava a migliorare, e nulla lo rendeva più felice che vedere il proprio figlio accompagnarlo nel lavoro di orefice. 

Avrebbe presto compiuto vent’anni, e il padre cominciò a ripensare alla vecchia strega. Temeva che avrebbe davvero tenuto fede alla sua parola, tornando a tormentarli, e lui mai aveva trovato un materiale che fosse più prezioso dell’oro, del diamante e dell’argento.

Nel mese di settembre, tutto il villaggio si riuniva nella piazza principale per una grande festa, che celebrava l’inizio della semina nei campi. C’erano balli, mercatini, musica, e molta gente proveniente dai paesi vicini. Silvestro e Gualtiero, come ogni anno, avevano allestito un banchetto per vendere i gioielli forgiati nelle ultime settimane. Pur con il peso degli anni che gli segnava il volto, l’orefice possedeva ancora il grande talento che lo aveva reso un uomo tanto ammirato. In poche ore vendette tutte le sue creazioni più belle, mentre quelle di Gualtiero rimanevano sul tavolo senza essere nemmeno notate.

Si avvicinò ad un tratto una giovane donna, lo sguardo timido e le mani un po’ tremanti. I suoi occhi verdi si fermarono ammirati ad osservare un sottile braccialetto in bronzo dorato, il disegno delle maglie irregolare e imperfetto. Gualtiero la osservò nervosamente, percependo la pelle del proprio viso diventare brace ardente.

“Posso crearne uno più bello!” esclamò all’improvviso. La ragazza sembrò spaventarsi.

“So che questa creazione è imperfetta, ne creerò una appositamente per te, vieni nel nostro negozio domani”.

Arrossendo, la ragazza annuì e si allontanò, non prima di avergli sorriso timidamente.

Gualtiero lavorò tutta la notte per realizzare un gioiello che potesse sposarsi alla perfezione con la pelle color di Luna della giovane sconosciuta. Silvestro gli rimase accanto per aiutarlo.

La mattina seguente, la fanciulla si presentò in negozio, e Gualtiero le fece provare il bracciale realizzato per lei. C’era ancora qualche imperfezione, ma era il gioiello più bello che fosse mai riuscito a realizzare.

Quello fu il primo di tanti momenti che i due passarono insieme. Gualtiero riconobbe in sé stesso una nuova sensazione di paura e leggerezza, che lo portava a desiderare di vedere Nora ogni giorno della sua vita e a temere di perderla da un momento all’altro.

Silvestro era sempre più spaventato, e cominciò a pentirsi di non aver mai davvero preso sul serio le parole della strega.

Il giorno prima del ventesimo compleanno di Gualtiero, decise di raccontargli tutta la verità sulle sue origini. Il giovane, in preda a sconforto e paura corse subito a cercare Nora.

Insieme passeggiarono nella foresta, dove erano soliti incontrarsi, discutendo della possibilità di fuggire via. Così, forse, la strega non li avrebbe trovati, né avrebbe ostacolato il loro amore.

“Ti amo, perché sei stata l’unica a cogliere bellezza laddove io vedevo solo imperfezione”.

“Ti amo, perché per me hai lavorato su quelle stesse imperfezioni regalandomi nuova bellezza”.

“Sposami, Nora”.

“Ti sposo, Gualtiero”.

Silvestro aspettava Gualtiero da più di un’ora, ma il ragazzo non era ancora rientrato a casa. Il rintocco delle campane in lontananza gli fece vibrare il cuore. Il fuoco nel caminetto si spense all’improvviso, e una figura incappucciata si materializzò dal nulla. La strega era tornata per riscattare ciò che le spettava, ma Silvestro non aveva ciò che lei chiedeva. La pregò in ginocchio di concedergli una grazia, poiché la sua richiesta era impossibile da soddisfare.

“Voglio che tu veda ciò che farò”. Dopo aver pronunciato queste parole, la strega lo afferrò per la mano, ed entrambi si materializzarono nella foresta.

Il padre vide un figlio innamorato e felice, che lui non era stato in grado di proteggere.

La strega vide un amore di cui fu subito invidiosa, perché il suo l’aveva perduto tanti anni prima.  

I due giovani fecero appena in tempo a notare la presenza di Silvestro e della strega, che le loro braccia iniziarono a tramutarsi in nodosi rami d’albero. I loro piedi si ancorarono al terreno, foglie scure al posto degli occhi. Senza capire cosa stesse accadendo, i due si strinsero forte l’uno all’altra, finché, dove poco prima c’erano due innamorati, non rimase che una grande Quercia.

Silvestro si gettò ai piedi dell’albero, disperato, e accarezzandone la corteccia notò che sottili fili d’acqua sgorgavano. E il vento sibilava tra le foglie come un pianto lamentoso, quello di due giovani a cui era stato negato l’amore.

Quelle lacrime d’albero inumidirono il terreno, e Silvestro cominciò a scavare con le nude mani proprio in quel punto, sperando che suo figlio fosse lì da qualche parte, ancora umano, ancora vivo.

Scavò e scavò tra le lacrime, le sue, quelle dell’albero. E cominciò a sentire qualcosa nella terra. Nel buio di quella foresta, Silvestro si ritrovò tra le mani un frutto dalla forma irregolare, forse un fungo. Pensò che avrebbe avuto bisogno di più luce per capire, ma poi non ce ne fu bisogno. L’avvicinò al naso, e mille ricordi di gioventù tornarono a galla. Una cena di quasi cinquant’anni prima, sua moglie ancora al suo fianco, un sapore afrodisiaco e indimenticabile.

Riconobbe il Tartufo Bianco come fosse un vecchio, prezioso amico, e improvvisamente seppe cosa fare.

La strega era ancora lì, alle sue spalle, un ghigno agghiacciante fisso sul volto. Le chiese un’ora di tempo, solo un’ora, e avrebbe ricevuto ciò che desiderava in cambio della vita di Nora e Gualtiero.

Si ritrovò nel suo laboratorio senza quasi rendersene conto, e si mise subito al lavoro. L’unica possibilità di riavere il suo unico figlio era custodita nel tartufo, considerato l’oro dei boschi, un diamante della cucina, una rarità che aveva saputo stregare Faraoni e Imperatori nei secoli.

Mentre le lancette dei minuti correvano, intagliò quel delicato frutto della terra con precisione e accortezza, nonostante le mani tremanti. Era così delicato che temeva di scalfirlo e rovinarlo per sempre. Quando il tartufo si unì al metallo, fu certo di aver creato qualcosa che nessuno aveva mai visto prima. Un anello più prezioso dell’oro, del diamante e dell’argento.  

Raggiunse la foresta allo scadere del tempo. La strega lo attendeva di fronte alla Quercia in cui si erano tramutati Nora e Gualtiero.

Le porse l’anello, e al chiaro di Luna, diventata improvvisamente più luminosa che mai, la strega si sciolse in un pianto sommesso. Indossò il gioiello e si inginocchiò a terra:

“Ho finalmente ciò che mi era stato promesso dal mio grande amore prima che morisse. Un anello più prezioso dell’oro, del diamante e dell’argento. E non lo è solo perché hai utilizzato il pregiato Tartufo Bianco, ma perché l’hai realizzato per salvare tuo figlio. Ora posso trovare la pace”.

La donna svanì nel nulla, e una danza di foglie sorprese l’uomo. Silvestro chiuse gli occhi per ripararsi dal vento gelido che si era appena sollevato, e di fronte a lui, quando li ebbe riaperti, c’erano Nora e Gualtiero, ancora abbracciati.

Il 18 maggio fu celebrato il matrimonio più sontuoso che si fosse mai visto al villaggio. Tutti furono invitati, e il banchetto a base di tartufi non poté mancare.

Silvestro guardava i due sposi ballare, tra le romantiche luci allestite nella piazza principale e le note di un lento.

Pensò che l’amore poteva trovarsi ovunque: negli occhi di due innamorati, o nel ricordo di una cena lontana con qualcuno che non sarebbe più tornato.

Oppure, nella promessa di un anello che era stata attesa per lunghissimi anni. 


Un racconto di Martina Marotta per La Boutique del Tartufo